S.I.P.S. Società Italiana Prosegugio "Luigi Zacchetti"

Ad Maiora!

L’attacco sferrato in questi ultimi anni dall’onda animalista si è trasformato pian piano in una vera e propria battaglia culturale che abbraccia per intero la sfera esistenziale dell’uomo. Ciò che molto timidamente, e per certi versi giusto, nasceva negli anni 70 come opposizione allo stile di vita dell’uomo moderno e si muoveva nella direzione di un attacco nei confronti di alcune attività umane, si è ora riversato in tutta la sua essenza nei riguardi di qualsiasi categoria che ha approcci diretti con gli animali. Non esiste per l’ideologia animalista una scaletta di priorità di categorie da combattere: chi caccia non è meno “assassino” di colui che pesca, alleva, sperimenta scientificamente, usa animali per il circo, si ciba di loro, li detiene per qualsiasi motivo in maniera differente dalla loro natura. Ora il distacco imposto dall’ideologia animalista tra uomo ed animali si profila nettamente e prende la forma di una battaglia culturale che non risparmia nessuno. Chi si sente indenne perché ritiene che il suo rapporto con gli animali non rientri nelle mire del fondamentalismo animalista, si sta sbagliando di grosso perché si accorgerà ben presto che minate le fondamenta delle categorie più deboli ed isolate, la crociata animalista, con i suoi metodi violenti ed a volte terroristici, irromperà tra le fila degli altri uomini da annientare. Possiamo infatti notare come i metodi usati dalla religione animalista ed i “soldati” impiegati nelle loro battaglie, persone che il più delle volte non hanno mai avuto alcun rapporto con gli animali e pertanto non li conoscono, ci portino a pensare che l’azione viene compiuta non tanto per amore nei confronti degli animali, quanto per odio e voglia di prevaricazione nei confronti dell’uomo. Vincere una battaglia diventa così per l’uomo/animalista fonte di autostima a discapito di altri uomini esattamente come se la propria squadra di calcio vincesse un trofeo importante. Di questo triste dato di fatto se ne stanno accorgendo un po’ tutti. Ci sono categorie che conoscono l’odio animalista da molti anni ed hanno quindi capito l’importanza di combattere uniti questa battaglia culturale, mentre altre l’hanno appena “assaggiato”. E’ proprio a queste ultime categorie che rivolgo la domanda del titolo. Ho assistito in più occasioni, e molto probabilmente per istintivo spirito di difesa, una categoria che “impiega” animali, attaccare un’altra categoria che, in maniera diversa, ha rapporti con essi che sono ugualmente odiati dall’ideologia animalista. Ho letto comunicati di pescatori che nelle argomentazioni di difesa della propria passione non hanno resistito a non inserire la fatidica domanda agli animalisti: “perché ve la prendete con noi che possiamo liberare il pesce e non ve la prendete con i cacciatori che sparano agli animali?”. Con lo stesso spirito di sopravvivenza che contraddistingue queste “boutade”, ho letto di circensi che attaccano gli allevamenti intensivi e questi ultimi difendersi a loro volta affermando che lo fanno per l’economia e non per divertimento come accade al circo. Troppe volte ancora leggo che qualcuno si dichiara favorevole all’impiego di animali per la ricerca scientifica ed allo stesso tempo condanna tutto il resto. E’ necessario, ora più che mai, comprendere che delle nostre belle argomentazioni sull’impiego di animali, sul fatto che una cosa è giusta e quell’altra no (e spesso accade per la mancanza di conoscenza delle altre attività), ai nemici che odiano gli uomini, nulla importa e distrutta una categoria, passeranno alla successiva fino al completo annientamento della nostra cultura, in favore di un mondo stupido che avrà allora operato al totale distacco dalla natura. L’Effetto nimby, che sta per “not in my back yard (non nel mio cortile)”, è un processo umano, a volte anche comprensibile, che si riferisce principalmente alla costruzione di nuove opere pubbliche che trovano, seppur queste siano assolutamente necessarie, una forte opposizione dei cittadini solo perché sono direttamente interessati in quanto passerebbero sul loro giardino di casa. Non cadiamo quindi in un nimby culturale in cui presi troppo dal salvaguardare la nostra personale passione od attività, ci lasciamo andare a difese estreme, sacrificando gli altri e viceversa. E’ proprio nelle battaglie culturali che si rende necessaria una squadra di “stakeholder” focalizzando bene chi è amico e chi non lo è, chi può aiutarci a difendere anche la nostra categoria nonostante non ne sia partecipe e chi ha ben compreso che il fondamentalismo animalista sta andando ben oltre al semplice disaccordo su quel che facciamo ma che si impone sulla nostra cultura ed addirittura sul nostro modo di concepire l’esistenza.

Massimo Zaratin 

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Affetti da Nimby Culturale?

 

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